Cara, vecchia pubalgia che fine hai fatto?
È passato ormai qualche anno da quando si sentivano sempre più frequentemente giocatori fermati per interi periodi della stagione a causa di questo problema. Si chiama pubalgia, ma in maniera generica si indica un dolore presente nella zona del pube, che impedisce agli sportivi di svolgere con regolarità l’attività fisica. Oggi però gli infortuni più frequenti dei quali sentiamo parlare più spesso sono quelli ai muscoli della coscia o del polpaccio e poi quelli più gravi al ginocchio.
Eppure fino a qualche anno fa, la pubalgia sembrava essere l’incubo di ogni squadra. Si presentava senza un preavviso, costringendo il calciatore a periodi più o meno prolungati di riposo. “Oggi sono migliorate le metodiche di diagnostica nell’ambito della pubalgia. C’è una cultura diversa nel concepire la patologia, abbiamo più conoscenze”, le parole del Dottor Guglielmi esperto di ernie, della clinica romana di Villa Stuart che segue tanti giocatori di Serie A, B e C, ma anche sportivi di altre discipline.
“È una patologia prevalente nei calciatori, perché sono frequenti i cambi di direzioni e le torsioni. In Italia abbiamo buoni preparatori atletici e l’aspetto atletico è importante per prevenire questa patologia”.
La novità però consiste in nuovi metodi di cura per risolvere il problema della pubalgia: “Si può attuare una terapia conservativa, ma negli ultimi anni hanno avuto sempre più successo le pubalgie trattate chirurgicamente. Molti giocatori affetti da questa patologia si operano a campionato finito e in poco tempo possono tornare all’attività fisica in maniera completa. Prima il fattore cronico poteva portare all’abbandono dell’attività. La prevenzione e un’ottima preparazione atletica sono fondamentali per prevenire e curare la patologia”.
“Ci vuole quindi un’attenzione particolare – conclude il Dottor Guglielmi – Perciò non è vero che la pubalgia sia scomparsa, si fanno semplicemente delle diagnosi più specifiche”. Per questo da qualche tempo si è parlato sempre meno di pubalgia.
Prima l’incubo dei calciatori, ora una patologia in grado di essere curata.